mercoledì 17 aprile 2013

La cucina nei monasteri

La pianta dell’abbazia di San Gallo mi fa riflettere sull’importanza che i monaci attribuivano al nutrimento del corpo e alla buona cucina.

Innanzitutto comincio col ricordare che i frati seguivano la Regula monachorum dettata da San Benedetto da Norcia nel 534, la quale prevedeva, oltre all’attività di preghiera, quella di lavoro e di studio. Di conseguenza un convento ben strutturato prevedeva, oltre al chiostro e alla chiesa, la presenza di altre costruzioni necessarie all’autosostentamento del monastero stesso: mulini, orti, scuole, biblioteche, stalle, alloggi…
All’interno della pianta ho, in particolare, evidenziato, con le lettere A-G, specifici locali, al fine di mettere in evidenza come i monaci fossero attenti all’alimentazione e disponessero di diverse fonti di approvvigionamento.
A: orto dei monaci;
B, D, G: locali per la fabbricazione della birra;
C: ovile;
E: porcili (i maiali erano molto importanti perché, essendo onnivori, potevano mangiare anche scarti di cibo umano);
F: stalle.
La loro particolare attenzione al cibo, al reperimento delle risorse alimentari, alla loro gestione e organizzazione ci lascia immaginare che la cucina dei cibi, il bon ton e l’educazione alimentare hanno avuto origine tra le mura dei monasteri e delle abbazie.  
Le comunità monastiche furono le prime a svolgere la doppia funzione di ospedale e ricovero e ad opporre al modello culturale barbarico, ricco ed esagerato, il modello religioso, caratterizzato dalla privazione alimentare. Essa non prevedeva l’assenza, ma la privazione di alimenti che si possedevano; i cibi non utilizzati per via delle restrizioni, tuttavia, non rimanevano inutilizzati, ma erano adoperati per altri fini o serviti agli ospiti e ai pellegrini, che non erano obbligati a seguire le diete ferree e i digiuni imposti dal calendario cristiano.
Esso prevedeva che i monaci mangiassero due volte al giorno, eccetto alcuni giorni della settimana (mercoledì e venerdì) durante i quali veniva servito loro un solo pasto. Inoltre il digiuno veniva esteso anche a periodi interi dell’anno, quali la Quaresima, la seconda metà del mese di settembre (digiuno regularis) e l’Avvento. Tuttavia vi erano alcuni periodi dell’anno (Natale, Pasqua, Pentecoste) in cui ai monaci venivano servite un maggior numero di portate.
Ma qual era lo scopo della rinuncia al cibo? Sicuramente il digiuno era sinonimo di mortificazione del corpo: il religioso, privato in parte del vincolo che lo legava alla materialità, sarebbe stato più vicino a Dio.
Tuttavia, nonostante tutti questi sacrifici, per moltissimi secoli i monasteri sono stati l’unico luogo in cui classi aristocratiche e popolari potessero entrare in contatto (ricordiamo, infatti, che abati e badesse provenivano da famiglie altolocate) e scambiarsi informazioni. I frati, entrando periodicamente in contatto con i popolani, trascrivevano le ricette semplici dei contadini e, a loro volta, fornivano loro ricette di piatti più elaborati, che il popolo preparava durante i giorni di festa.
Così cominciarono a venire prodotti, all’interno degli scriptoria, dei veri e propri ricettari che, col passare del tempo, oltre ad essere arricchiti grazie allo scambio di informazioni fra i vari conventi, venivano mostrati, quando ne fosse stata fatta richiesta, agli alti esponenti del clero che avessero apprezzato particolari ricette servitegli.

Di seguito riporto alcune ricette di origine monastica trovate in rete:
Baccalà del frate Cappuccino
Togliere pelle e lische al baccalà ben ammollato. Tagliarlo a pezzi piuttosto grossi e soffriggerlo ben infarinato in una teglia a bordi alti, sistemando i pezzi molto vicini uno all’altro in modo che non rimangano dei vuoti. Aggiungere alloro, sardelle ben pulite e tritate, pinoli, uva passa, cioccolato amaro grattugiato, una scorzetta di limone, sale e pepe. Ricoprire il tutto con brodo bollente e far cuocere lentamente per almeno 3 ore, avendo cura perché il baccalà non si attacchi di non mescolare ma soltanto scuotere il recipiente. Al termine, cospargere la pietanza di pangrattato e infornarla per il tempo necessario ad ottenere una leggera crosticina dorata.
Servire il baccalà alla Cappuccina accompagnato con polenta gialla molto morbida.

Zuppa di piselli
300 gr. di piselli sgranati
1 cipolla
4 uova
4 cucchiai di parmigiano grattugiato
Sale, pepe e olio
Pane fritto

Fate soffriggere in olio d’oliva cipolla, prezzemolo, sale e pepe, aggiungete i pisellini freschi appena sgranati e brodo quanto basta. Quando questi saranno cotti, se freschi e piccoli la cottura è veloce, aggiungete altro brodo ben caldo mantenendo il tutto a bollore. Nella zuppiera sbattete un tuorlo d’uovo a persona e altrettanti cucchiai di parmigiano, aggiungete i piselli con il loro brodo e trasferite il tutto nella zuppiera. Al momento di servire nei piatti aggiungete dei quadrucci di pane fritto nel burro.


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