sabato 1 giugno 2013

Caffè e caffettiere

Dato che ieri ho introdotto il tema del caffè, oggi voglio concludere l'argomento parlando della sua preparazione e scendendo nel particolare: come sono fatte e come funzionano le caffettiere?

Innanzitutto, bisogna fare una prima distinzione, visto che il caffè può essere preparato in tre modi diversi: bollito, infuso o espresso.


La bollitura è il metodo tradizionale di preparazione del caffè, ancora oggi in voga nei paesi arabi. Per prepararlo si usa una caffettiera apposita chiamata ibriq o ibrik, un pentolino alto e stretto in rame, con un lungo manico, che si riempie con due parti di caffè, una di zucchero e una dozzina di acqua.
Questa miscela viene mescolata, posta sul fuoco e portata ad ebollizione; si toglie l'ibrik dal fuoco e si lascia raffreddare. Questa operazione viene ripetuta tre volte, in seguito si fa sedimentare la polvere, poi si riscalda il caffè che è pronto per la degustazione.
Il caffè prodotto è anche chiamato caffè arabo o turco.

L'infusione è la tecnica che prevede di portare ad ebollizione l'acqua, versarla sul caffè ridotto in polvere più o meno fine, filtrare la miscela ottenuta e degustarla.
Vengono utilizzate due diverse caffettiere per ottenere questo tipo di caffè:
- la caffettiera a stantuffo o coffee plunger (circa 1933)
Essa consiste in un contenitore di vetro in cui viene versata la polvere di caffè e l'acqua bollente, lasciando la bevanda in infusione per il tempo desiderato. Attaccato al coperchio dell'apparecchio, si trova uno stantuffo che termina in un filtro circolare. Si raccoglie lo stantuffo verso l'alto e si preme delicatamente verso il basso. Nel movimento il filtro raccoglie la polvere di caffè, lasciando solo l'infuso, che verrà versato dal beccuccio dell'apparecchio.




 - la caffettiera a filtro (1806, Benjamin Thompson)
Questo tipo di caffettiera è molto diffuso negli USA e in Germania. Essa prevede di far bollire l'acqua e versarla su un filtro, in genere di carta, che contiene il caffè il polvere. L'infuso viene subito raccolto in una caraffa o in una tazza e può essere subito consumato. Ne vien fuori quello che viene chiamato "caffè all'americana".


L'espresso viene solitamente preparato nei bar. Le macchine che lo fanno funzionano sotto pressione (quindi forse da qui deriva il termine "espresso") e hanno un meccanismo interno che fa passare l'acqua che bolle in un sistema di serpentine, poi attraverso il contenitore dove si trova la polvere di caffè torrefatto. Il caffè che si ottiene è molto concentrato e, proprio per questo, sapori sgradevoli determinati da scarsa pulizia o bruciatura, rovinano subito il gusto della miscela. Queste macchine hanno bisogno, perciò, di una frequente manutenzione e pulizia.
L'espresso nacque a Torino nel 1884, grazie all'invenzione del 16 maggio dello stesso anno di Angelo Moriondo (brevetto n. 33/256). Il brevetto di Bezzera venne acquistato da Desiderio Pavoni che nel 1905 fondò la ditta La Pavoni e iniziò la produzione in serie in una piccola officina a Milano. La diffusione nel mondo della macchina per espresso avvenne soprattutto per merito del torinese Pier Teresio Arduino e della sua ditta, la Victoria Arduino.



Nelle case italiane penso che la macchina utilizzata più di frequente sia la Moka, invenzione di Alfonso Bialetti del 1933.
Questa è formata da 5 elementi che si montano ad incastro tra loro:
- la caldaia, munita di valvola di sicurezza che lascia una via di sfogo a gas e liquidi, qualora la pressione salisse troppo e l'acqua non riuscisse a defluire;
- il serbatoio del caffè, a forma di imbuto con piano filtrante, dove si mette la polvere di caffè torrefatto. Questo si alloggia a incastro dentro la caldaia;
- il filtro, che trattiene la polvere del caffè ed evita che resti in sospensione nella bevanda finale;
- la guarnizione di gomma, che trattiene la piastrina in posizione ed evita la fuoriuscita laterale di acqua e vapore, alla base del serbatoio del caffè. Piastrina filtro e relativa guarnizione sono montati nell'apposito alloggiamento del bricco;
- il bricco, che raccoglie la bevanda stessa e che si chiude a vite sul serbatoio dell'acqua. Questo è provvisto di cannula da cui esce il caffè che si è formato per contatto tra l'acqua bollente e la polvere.
Il contenitore finale ha un beccuccio dal quale si versa la bevanda ed una maniglia per afferrare l'apparecchio.

Per preparare il caffè con la Moka si versa l'acqua nella caldaia, la si tappa con il serbatoio contenente la polvere di caffè torrefatto, si chiude il corpo della caffettiera e si pone quest'ultima sul fuoco.
L'acqua si scalda, fa aumentare la pressione dentro lo strumento e sale verso l'alto, passando prima nel filtro, dove la polvere viene filtrata e poi nel filtro della piastrina, che impedisce ai grani di caffè di passare nel bricco.
Attraverso un canale verticale molto piccolo, il caffè passa dal filtro al bricco e, una volta che questo si riempie, la bevanda è pronta per essere degustata.



Prima della Moka, tuttavia, c'era la caffettiera napoletana, inventata nel 1819 dal francese Morize.
Essa è composta di quattro elementi, ad incastro fra loro:
1) Il serbatoio dell'acqua, dotato di una maniglia ricurva e di un piccolissimo forellino posto in alto sul lato.
2) Il contenitore del caffè, con forma di cilindro cavo aperto da un lato, e con l'altro lato forato per permettere il passaggio dell'acqua in ebollizione, dove si mette la polvere di caffè torrefatto; l'ultima  parte esterna è filettata, al fine di avvitarvi il filtro.
3) Il serbatoio del caffè si alloggia ad incastro dentro il serbatoio dell'acqua. Il filtro, che trattiene la polvere del caffè ed evita che resti in sospensione nella bevanda finale, si avvita sul contenitore del caffè.
Il serbatoio della bevanda, che raccoglie la  bevanda stessa e che si incastra sul serbatoio dell'acqua, con già alloggiato al suo interno il contenitore del caffè comprensivo di filtro già avvitato, è provvisto di beccuccio, da cui esce il caffè che si è formato per il passaggio dell'acqua bollente attraverso la polvere, mediante gravità.
Il contenitore finale, così come il serbatoio dell'acqua, ha un manico che viene utilizzato per brandeggiare l'apparecchio.
4) Il coperchietto con manico da porre sopra il serbatoio del caffè al momento di versarlo.

La particolarità della caffettiera napoletana è il serbatoio della bevanda. Esso è infatti dotato di un beccuccio che, in fase di cottura, è voltato verso il basso e non verso l'alto.

A caffettiera smontata, si pone l'acqua nel serbatoio apposito; il livello dovrebbe raggiungere all'incirca i cinque millimetri al di sotto del forellino per l'uscita del vapore. Si pone il caffè in polvere, senza pressarlo, nel contenitore apposito, fino a fare in modo tale che sia a filo, o leggermente sopra, rispetto al bordo superiore del contenitore. Si avvita il filtro sul contenitore del caffè. Si incastra il contenitore del caffè con il filtro avvitato sul serbatoio pieno dell'acqua facendo attenzione a non far fuoriuscire l'acqua. Si incastra oil serbatoio del caffè su quello dell'acqua, facendo in modo che i due manici corrispondano come posizione e che non ci siano fessure tra il serbatoio dell'acqua e quello del caffè. Si pone la caffettiera su un fuoco non troppo vivo (che non sbordi dal diametro della caffettiera). Quando l'acqua giunge all'ebollizione, un sottile filo di vapore esce dal forellino del serbatoio dell'acqua, segnalando che è giunto il momento di prendere saldamente la caffettiera per i due manici e voltarla a testa in giù. Il serbatoio dell'acqua si viene così a trovare sopra quello che raccoglie il caffè. L'acqua scende quindi per effetto della forza di gravità, passa attraverso il serbatoio del caffè e il filtro e si raccoglie nel serbatoio.
 Da qui verrà versato nelle tazzine, grazie al beccuccio che, dopo aver voltato la caffettiera, ha assunto il verso corretto e cioè verso l'alto.
Il tempo di "discesa" completa dell'acqua varia dai cinque ai dieci minuti.



Fonti: Napoletana, Caffettiera

Curiosità:
Il proverbiale senso di umanità e l’ospitale cordialità dei napoletani hanno lasciato tracce nella loro cultura del caffè. Fu infatti nei bar di Napoli che vide la luce quello che può essere ritenuto il tipo più “buono” di caffè: il “sospeso”, ossia un espresso non consumato da chi lo paga (consumazione “sospesa”, appunto) ma destinato a qualche avventore meno abbiente di passaggio.
Fonti: “Oro nero” – La cultura del caffè in Italia: usi, costumi, teatro e letteratura

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